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Unicef: 76 milioni di bambini poveri in Occidente. Il dramma dei “figli della recessione.”

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child-164317_150Sono trascorsi sei anni da quel maledetto 15 settembre 2008, quando la Lehman Brothers dichiarò bancarotta innescando (o, meglio, esponenzialmente accellerando) una recessione tanto violenta da sconvolgere economie ed assetti istituzionali di mezzo mondo. Generando conseguenze gravissime sugli standard di vita di popolazioni che non sentivano parlar di «crisi» da oltre un ventennio. E alle quali, di volta in volta, le istituzioni politiche hanno promesso che, attraverso «cure» drastiche e dolorose (in primis, la contrazione della spesa pubblica) si sarebbe usciti presto dalla recessione.

Cosa è accaduto, in realtà, ce lo mostra il nuovo rapporto Unicef “Figli della recessione: L’impatto della crisi economica sul benessere dei bambini nei paesi ricchi”. Non solo le tanto decantate ricette propinate da FMI, BM e UE – e così ben recepite dall’Italia – non hanno sortito l’effetto auspicato. Ma hanno esasperato e continuano ad esacerbare una situazione già disastrosa. Producendo, come risultato diretto, una generazione di bambini poveri ed affamati, di ragazzi senza speranza, di giovani senza futuro.

«I figli della recessione» nelle nostre nazioni «avanzate» hanno raggiunto cifre impressionanti: settantasei milioni e mezzo di bambini e ragazzi poveri. Ben due milioni e seicentomila in più rispetto al 2008. Il cui numero, purtroppo, continua a crescere di anno in anno.

Ventitré paesi OCSE ed UE su quarantuno hanno visto incrementare i propri tassi di povertà infantile (in Grecia, Irlanda, Islanda, Croazia e Lettonia  addirittura di oltre il cinquanta percento) conseguentemente all’erosione, o meglio, alla demolizione del reddito a disposizione dei nuclei familiari.
Il reddito delle famiglie greche nel 2012 è crollato ai livelli del 1998; quello di Irlanda, Lussemburgo e Spagna, invece, del 2002. Ed in Italia? Nel 2012 il reddito a disposizione delle famiglie è risultato pari a quello del 2004: un precipitoso salto all’indietro di ben otto anni. Oggi, nel «bel paese», un bambino su tre è povero. Ed il numero dei minori che vivono nella miseria è in crescita. Insieme a Grecia e Spagna, siamo la nazione in cui il tasso di povertà infantile è aumentato maggiormente.

Concepire un «figlio della recessione» significa incrementare le probabilità di “povertà attiva” dal sette all’undici percento: ciò vuol dire che, nonostante uno o più membri della famiglia lavorino, il rischio di finire sotto la linea della povertà sale. Alla faccia del welfare state.
Se si va a da analizzare, poi, come la diminuzione di reddito disponibile influenzi il modo in cui esso viene tradotto in acquisti dalle famiglie, c’è da sentirsi male. Il quadro che ne vien fuori è disarmante: la crisi e le non-risposte alla crisi stanno letteralmente affamando la popolazione. Ed è un dato ancor più impressionante per chiunque mastichi un po’ di economia, visto che in tempi di recessione la propensione al consumo di beni primari permane più  meno stabile. Per fare un esempio, in Italia il numero delle famiglie con bimbi che non possono permettersi di mangiare carne o pesce ogni due giorni è raddoppiato, così come in Grecia ed Estonia.

Privazioni ecomomiche, ansia e stress causati dalla perdita del posto di lavoro di uno o più genitori, precarietà abitativa (sfratti e inadempienze dei mutui in ascesa), deterioramento di diritti fondamentali come quello alla salute, ad un’alimentazione sana e sufficiente o ad un’istruzione adeguata: ecco le fondamenta di questa orribile “trappola della povertà” che attanaglia i «figli della recessione».

E se la crisi ha colpito duramente famiglie e bambini, ancor più violento ne è stato l’impatto sui giovani. Il numero dei “NEET”(Not in Education, Employment or Training) che hanno un’età compresa tra quindici e ventiquattro anni e che non lavorano, non sono in formazione nè studiano, è in continuo aumento: solo in Europa parliamo di settemilioni e cinquecentomila individui. Anche in questo caso l’Italia è tra i paesi che hanno avuto la peggio, insieme a Croazia, Cipro e Romania: il ventidue percento dei nostri ragazzi risulta essere NEET (oltre un milione di giovani).

Se l’Europa è alla débacle, oltre oceano l’atmosfera non sembra differente. Negli USA, la povertà infantile è salita in trentaquattro Stati su cinquantadue: un milione e settecentomila bambini poveri in più rispetto al 2008. Parliamo di ventiquattro milioni e duecentomila minori che vivono nella miseria.

Segnali in controtendenza solo in diciotto paesi, tra cui Australia, Cile, Norvegia, Polonia e Slovacchia.

In ultima analisi, dal rapporto Unicef possiamo trarre una ben triste considerazione. Le tanto decantate “politiche di stabilità” che ci vengono imposte dal 2008 come panacea di tutti i mali, hanno prodotto un unico, deprecabile risultato: quello di rendere stabile la povertà e la sofferenza di coloro che abbiamo il dovere di difendere a tutti i costi, i nostri figli. E se non si provvederà a cambiar rotta, la situazione non potrà che peggiorare.